Nata intorno agli anni ’90 per opera di Howard Schultz, il quale ha avuto l’idea dopo un viaggio di lavoro a Milano, dove Schultz ha potuto vivere il rapporto tra barista e cliente volendo creare un qualcosa di simile.
Ma perché così tanto successo? La formula è un insieme di particolari: assaporare il caffè con calma su soffici poltrone chiacchierando con i propri amici, con musica soft di sottofondo, l’aroma di caffè nell’aria che ti avvolge come in un abbraccio, la connessione internet gratuita. Ma Starbucks va giù nei dettagli: i clienti possono scegliere la quantità di panna, schiuma o latte da mettere nella loro bevanda e intrattenersi nel coffee shop dove si possono acquistare i gadget della grande catena americana. I negozi Starbucks sono quindi luoghi d’incontro e posti tranquilli e comodi nei quali leggere un libro o navigare su internet sfruttando il wi-fi gratuito. A completare l’offerta delle caffetterie Starbucks ci sono numerosi dolci, trovatosi nella vetrina situata (quasi sempre) all’entrata, alla quale è dura resistere.
Schultz, oggi è uno fra gli uomini più ricchi degli Stati Uniti, tanto che Lo scorso anno, ha varato un programma per pagare il college ai dipendenti e, memore dell’incidente di cui è stato vittima il padre, offre a tutti i lavoratori, compresi quelli part time, una copertura sanitaria completa e stock option.
Parlando del fronte tecnologico, Starbucks è stato il primo marchio a raggiungere dieci milioni di Like su Facebook e oggi oltre dieci milioni di persone usano la sua applicazione mobile. Il 20% dei clienti più fedeli visita l’insegna almeno 16 volte al mese. Gli altri, in media, varcano la soglia sei volte al mese. Ogni settimana, l’azienda serve circa 40 milioni di persone.
I negozi Starbucks sono ormai più di 10mila, ma sono assenti proprio nel nostro Paese. Perché? Ce lo dice proprio Schultz: “Agli italiani non piacciono le tazze di plastica, poiché essi non considerano neanche la possibilità di prendere il caffè fuori dal bar, bevendoselo mentre camminano o guidano“, quindi anche se nata da un’idea italiana e utilizza termini italiani all’interno degli stessi centri (Una tazza piccola viene chiamata tall, una media viene chiamata grande, mentre quella più grande viene chiamata venti), non è presente da noi.